La storia delle Olimpiadi

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Los Angeles 1984
Giochi della XXIII Olimpiade

Nel 1984 le Olimpiadi ritornarono a Los Angeles, città che aveva già ospitato l'edizione del 1932. Dopo il boicottaggio dei Giochi di Mosca da parte degli Stati Uniti e di altri paesi della Nato era ovvio prevedere una risposta analoga da parte sovietica. Il Cremlino motivò la mancata partecipazione con il fatto che l'incolumità dei propri atleti sarebbe stata in pericolo, vista la violenta campagna antisovietica in atto negli Stati Uniti, alimentata in primo luogo dal presidente Ronald Reagan, il quale era solito definire pubblicamente la superpotenza comunista come "il regno del male".

Giustificata o pretestuosa che fosse la posizione sovietica, a essa si allinearono altri 17 paesi alleati. Di fronte alla logica della guerra fredda a nulla valsero i tentativi di mediazione del nuovo presidente del CIO, lo spagnolo Juan Antonio Samaranch. Le seconde Olimpiadi di Los Angeles dovettero dunque fare a meno di due colossi sportivi, quali l'Unione Sovietica e la Germania Est, e inoltre di una serie di nazioni (Cuba, Bulgaria, Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia) sicuramente in grado di presentare atleti da podio in diverse discipline.

Uscì dal coro la Romania di Ceausescu, sempre a caccia di simpatie in Occidente. In compenso la Repubblica Popolare di Cina rientrò nell'ambito olimpico; il suo peso sportivo restava però di gran lunga inferiore a quello demografico e politico.

Le olimpiadi della pubblicità

Lasciando per un momento da parte l'aspetto agonistico, occorre sottolineare che i Giochi di Los Angeles rappresentarono una grande novità dal punto di vista organizzativo; non furono infatti finanziati con denaro pubblico, ma grazie al contributo di decine di sponsor. Il comitato organizzatore, presieduto da Peter Ueberroth, era un ente privato che si proponeva, attraverso l'evento olimpico, di realizzare un utile: e vi riuscì, se è vero che la manifestazione si chiuse con un attivo equivalente a più di 300 miliardi di lire.

Naturalmente la gestione dell'Olimpiade su base strettamente economica comportò anche degli inconvenienti, per esempio quelli causati dall'onnipotenza della televisione, la quale, forte del suo ruolo di principale finanziatore, modellò orari e ordine delle gare sulle proprie esigenze di programmazione e, soprattutto, di raccolta pubblicitaria.

Si risparmia sulle strutture

In linea con i criteri di redditività economica che ne ispiravano costantemente l'operato, il comitato organizzatore limitò al minimo indispensabile le spese per nuove strutture: l'unico impianto sportivo costruito appositamente per le Olimpiadi fu la piscina MacDonald, ubicata all'interno dell'Università della California. Il Memorial Coliseum (già sede dei Giochi del '32), adeguatamente rimodernato, ospitò le gare di atletica e le cerimonie di apertura e chiusura.

La macchina organizzativa, caratterizzata da una ferrea efficienza, produsse anche momenti di alta spettacolarità in occasione della cerimonia di apertura, il 28 luglio: jet che tracciavano cerchi nel cielo, evocazione di episodi della storia americana, 42 pianoforti che suonavano in contemporanea musiche di Gershwin ecc. Il culmine del pathos fu raggiunto quando un uomo si lanciò dalla torre dello stadio, e dopo aver volteggiato miracolosamente nell'aria (grazie a un razzo che portava sulle spalle), atterrò nel centro del prato.

Los Angeles 1984
Giochi della XXIII Olimpiade

Jesse Owens rivive in Carl Lewis

Il personaggio simbolo dell'Olimpiade del 1984 fu lo statunitense Carl Lewis, che a quasi un cinquantennio di distanza fece rivivere il mito di Jesse Owens, ripetendone esattamente lo straordinario poker di vittorie: 100 e 200 m piani, salto in lungo e staffetta 4x100 m. A rendere ancora più suggestivo il confronto tra i due campioni contribuiva il fatto che entrambi erano originari dell'Alabama ed entrambi avevano realizzato la loro memorabile impresa all'età di ventitré anni.

Dal punto di vista del carattere erano però l'uno l'opposto dell'altro: semplice e tranquillo Owens, altezzoso e narcisista Lewis. Per valutare correttamente la personalità di Carl Lewis (specialmente in rapporto con quella di un grandissimo del passato come Jesse Owens) non si può non tenere conto del fatto che oggi un fuoriclasse assoluto di uno sport universale come l'atletica fa parte a pieno titolo dello star system, al pari di un divo del cinema o della canzone. Resta il fatto che "il figlio del vento" (è questo il suo soprannome), pur con i suoi atteggiamenti spesso irritanti, rappresenta uno dei più grandi talenti sportivi di ogni epoca, un autentico predestinato.

I nuovi protagonisti dell'atletica

Oltre a Carl Lewis, a Los Angeles le gare di atletica portarono alla ribalta altri nuovi protagonisti; tra questi il marocchino Said Aouita, dominatore dei 5000 m a tempo di record del mondo, il portoghese Carlos Lopes, con i suoi trentasette anni il più anziano vincitore di una maratona olimpica, e il marciatore messicano Raul Gonzales, capace, nella 50 km, di infliggere al secondo classificato un distacco di quasi 6 minuti.

Non mancarono neppure le grandi conferme, come quella di Sebastian Coe, ancora una volta, quattro anni dopo Mosca, vincitore del titolo olimpico dei 1500 m e secondo negli 800 m, o quella di Edwin Moses, a cui erano stati necessari (a causa del boicottaggio americano) otto anni di attesa prima di conquistare la seconda medaglia d'oro nei 400 ostacoli.

Salti e lanci immiseriti dal boicottaggio

Grandi progressi cronometrici si registrarono nel nuoto, che vide il predominio degli Stati Uniti in campo maschile e dell'Ungheria in quello femminile. L'ungherese Szekely dominò i 200 m rana mettendo in mostra uno stile rivoluzionario, che sarebbe stato codificato con il nome di farfalla, specialità inserita nel programma olimpico già a Melbourne.

Nella ginnastica si mise in particolare evidenza il russo Viktor Cukarin, l'atleta più premiato di Helsinki, con 4 ori e 2 argenti.

L'olimpiade in rosa

La maratona, vinta dalla statunitense Joan Benoit, diede origine a qualche polemica. Le televisioni di tutto il mondo mandarono in onda le immagini drammatiche della svizzera Gabriela Andersen-Schiess, esausta, disidratata, che percorreva il giro di pista prima dell'arrivo procedendo a zigzag, cadendo e rialzandosi: una sorta di via crucis sportiva. Pur ammirando la forza di volontà dell'atleta (che venne ricoverata in ospedale subito dopo avere tagliato il traguardo), molti si chiesero se lo sport, anche quello agonistico e praticamente professionistico, dovesse spingersi a tali eccessi.

Merita di essere ricordata la marocchina Nawal ElMoutawakel, medaglia d'oro nei 400 m ostacoli, e soprattutto prima donna di un paese arabo a salire sul gradino più alto del podio. Nella velocità si misero in luce due atlete americane di colore: Valerie Brisco-Hooks, prima vincitrice sui 200 e 400 m piani nella storia olimpica, ed Evelyn Ashford, che dominò i 100 m piani. Nell'alto la tedesca occidentale Ulrike Meyfarth conquistò la sua seconda medaglia d'oro, dodici anni dopo Monaco. Sara Simeoni, giunta alla quarta finale olimpica, si classificò al secondo posto, superando la più che rispettabile misura di 2 m.

Nel nuoto femminile l'assenza della Germania Est diede via libera alle americane, nelle cui file si distinse Tracy Caulkins, la quale ben sei anni dopo i trionfi ai Campionati Mondiali (1978), fu capace di conquistare la medaglia d'oro nei 200 e 400 m misti. Altra stella della rappresentativa americana fu Mary Meagher, prima nei 100 e 200 m farfalla.

Nelle prove di ginnastica prevalsero, come previsto, le romene, che si fecero però sfuggire il titolo del concorso generale individuale, andato alla statunitense Mary Lou Retton. La romena Ecaterina Szabo, preceduta dalla Retton nel concorso generale, si consolò con 3 medaglie d'oro nei singoli esercizi, più una quarta nel concorso generale a squadre.

Il nuoto e Louganis

Nel nuoto maschile impressionò il tedesco occidentale Michael Gross (detto l'albatros per l'eccezionale apertura di braccia), dominando a tempo di record mondiale i 200 m stile libero e i 100 m farfalla. Due vittorie e altrettanti record del mondo anche per il canadese Alex Baumann, nei 200 e 400 m misti.

Nelle gare di tuffi il protagonista assoluto fu Greg Louganis, già medaglia d'argento nel 1976 a soli sedici anni, ma assente a Mosca per la defezione degli Stati Uniti. Louganis riuscì nell'incredibile impresa di vincere l'oro sia nella piattaforma che nel trampolino; si sarebbe ripetuto quattro anni dopo, a Seul.

La ginnastica senza l'URSS

La ginnastica maschile, in mancanza dei sovietici, vide giapponesi, statunitensi e cinesi dividersi equamente titoli olimpici e posti sul podio. In evidenza soprattutto il giapponese Koji Gushiken (2 medaglie d'oro, 1 d'argento, 2 di bronzo) e il cinese Li Ning (3 medaglie d'oro e 2 d'argento).

Evander Holyfield sfortunato

Nel torneo di pugilato gli Stati Uniti presentarono una selezione ricca di talenti, molti dei quali sarebbero arrivati al titolo mondiale dei professionisti. Si misero particolarmente in evidenza Meldrick Taylor, oro nei piuma, e Pernell Whitaker, oro nei leggeri. Sfortunata la partecipazione di Evander Holyfield, futuro campione del mondo dei mediomassimi e dei massimi nella boxe a torso nudo: Holyfield fu squalificato in semifinale per avere messo fuori combattimento il proprio avversario, il neozelandese Kevin Barry, proprio mentre l'arbitro decretava il "break".

Barry, a causa del KO subito, non poté salire sul ring per la finale, lasciando l'oro allo jugoslavo Anton Josipovic. Holyfield si dovette accontentare del bronzo, pur essendo sicuramente il migliore tra i mediomassimi in gara. A Los Angeles ben pochi notarono il peso mosca australiano Jeff Fenech, eliminato nei quarti: eppure, passato al professionismo subito dopo le Olimpiadi, quello stesso pugile sarebbe diventato campione mondiale dei pesi gallo, supergallo e piuma.

Alla Francia l'oro nel calcio

Negli sport di squadra, abbastanza inattese le vittorie della Francia nel torneo di calcio e degli Stati Uniti in quello di pallavolo. I francesi si imposero sui brasiliani, che avevano nelle loro fila giovani calciatori di sicuro avvenire, come Dunga, futuro capitano della nazionale campione del mondo nel 1994. La medaglia di bronzo andò alla Jugoslavia.

Nella pallavolo sorprendono gli Stati Uniti

Nella pallavolo gli Stati Uniti (dove non esisteva un campionato professionistico), costruirono una rappresentativa nazionale appositamente per l'appuntamento olimpico, e la prepararono con lunghissimi allenamenti collegiali. Il risultato fu ottimo: primo posto davanti al fortissimo Brasile. Certo erano assenti i sovietici, padroni incontrastati della scena mondiale, ma, da allora in avanti, per un quadriennio gli Stati Uniti si sarebbero dimostrati superiori a tutti gli avversari.

La formazione americana poteva contare su molti ottimi giocatori e su un autentico fuoriclasse come il californiano Karch Kiraly, uno dei più grandi pallavolisti di ogni epoca. Tornato al beach volley, da cui proveniva, dopo una eccezionale carriera nella pallavolo al coperto (che lo vide protagonista anche in Italia, a Ravenna), Kiraly avrebbe vinto nel 1996 ad Atlanta il primo titolo olimpico di questa specialità. Certamente agevolata dall'assenza di Cuba e delle squadre dell'Europa orientale, l'Italia realizzò comunque un'ottima impresa aggiudicandosi la medaglia di bronzo.

Medagliere

I dati della classifica finale per nazioni fotografano con evidenza lampante lo strapotere della rappresentanza statunitense: 83 medaglie d'oro (più 61 d'argento e 30 di bronzo) contro le 20 (più 16 d'argento e 17 di bronzo) della Romania, piazzata al secondo posto. Sul gradino più basso la Germania Ovest, vincitrice di 59 titoli. Positivo al di là di ogni previsione il comportamento degli italiani, che si collocarono al quinto posto in graduatoria con 14 medaglie d'oro, 6 d'argento e 12 di bronzo.

Los Angeles 1984
Giochi della XXIII Olimpiade

Alberto Cova conquista i 10000

Oltre all'argento di Sara Simeoni, le gare di atletica fruttarono all'Italia 3 medaglie d'oro e 3 di bronzo. Tenendo conto degli effetti del boicottaggio, la medaglia d'oro più prestigiosa fu quella di Alberto Cova nei 10000 metri piani. A Los Angeles l'atleta brianzolo ribadì la superiorità sugli avversari già dimostrata agli Europei di Atene (1982) e ai Mondiali di Helsinki (1983).

Alberto Cova pareva disinteressarsi ai risultati cronometrici in sé stessi, ma non falliva un appuntamento importante, grazie a una condotta di gara molto saggia, che gli consentiva di mettere a frutto la propria capacità di effettuare improvvisi, irresistibili cambi di ritmo, anche dopo avere percorso quasi 10 chilometri all'andatura imposta da qualsiasi avversario. Una delle vittime più frequenti dell'inesorabile spunto finale di Alberto Cova era il lungo finlandese Marti Vainio, che giunse secondo anche nei 10000 olimpici, ma fu poi squalificato perché risultato positivo all'esame antidoping. Al quarto posto si piazzò un altro italiano, Salvatore Antibo, giovane dal brillante avvenire.

Andrei, primo oro italiano nel peso

La prima medaglia d'oro olimpica dell'Italia nel getto del peso fu conquistata dal colosso fiorentino Alessandro Andrei, con la misura di 21,26 m. L'assenza degli atleti dell'Est europeo assottigliò non poco il lotto dei concorrenti pericolosi, tuttavia aver battuto ottimi specialisti come gli americani (e per di più a casa loro) fu comunque una grossa impresa.

Gabriella Dorio vola nei 1500

Lo stesso discorso vale per la mezzofondista veneta Gabriella Dorio, che sicuramente trasse vantaggio dall'assenza delle quasi imbattibili sovietiche, ma dovette misurarsi con le romene, avversarie di grande levatura. Quarta negli 800 m, nei 1500 m seppe costruire una gara capolavoro, che la condusse al titolo olimpico davanti a Doina Melinte e Maricica Puica.

Bene l'Italia del pugilato

Ottimo il risultato complessivo degli italiani: oro per Maurizio Stecca tra i gallo; argento per il minimosca Salvatore Todisco e per il supermassimo Francesco Damiani; bronzo per il welter Luciano Bruno e il massimo Angelo Musone. In seguito Maurizio Stecca e Francesco Damiani sarebbero anche arrivati al titolo mondiale tra i professionisti, impresa per la verità non proibitiva, vista la proliferazione incontrollabile di categorie e federazioni caratteristica dell'ultimo decennio.

La consacrazione dei fratelli Abbagnale

Nel canottaggio si registrò la terza medaglia d'oro nel singolo per il gigante finnico Pertti Karppinen, che eguagliò così il primato del sovietico Vjaceslav Ivanov. A Los Angeles giunse la consacrazione olimpica per il due con italiano formato dai fratelli Carmine e Giuseppe Abbagnale, e dal timoniere Giuseppe Di Capua, equipaggio dominatore a livello internazionale già dal 1981. I due fratelli di Pompei, con il timoniere stabiese, sarebbero entrati nella leggenda dello sport remiero, conquistando, tra i loro innumerevoli trofei, un altro oro alle Olimpiadi di Seul (1988) e un argento a quelle di Barcellona (1992).

La scherma azzurra torna grande

Notevole il successo della scherma azzurra, tornata sui suoi abituali livelli dopo la flessione di Mosca. Due i nostri schermidori sul podio del fioretto maschile: Mauro Numa, primo dopo un'entusiasmante rimonta sul tedesco Mathias Beher, e Stefano Cerioni, terzo. Gli stessi Numa e Cerioni, insieme ad Andrea Borella, Andrea Cipressa e Angelo Scuri, si aggiudicarono il titolo nel fioretto a squadre.

Medaglia d'oro anche per la squadra di sciabola, formata da Marco Marin, Gianfranco Dalla Barba, Giovanni Scalzo, Ferdinando Meglio e Angelo Arcidiacono. Nella sciabola individuale medaglia d'argento per Marco Marin. Oltre al già menzionato Stefano Cerioni, conquistarono il bronzo anche la squadra di spada (Stefano Bellone, Sandro Cuomo, Cosimo Ferro, Roberto Manzi, Angelo Mazzoni) e Dorina Vaccaroni nel fioretto individuale femminile.

Gli altri ori azzurri

Nel pentathlon moderno l'Italia lasciò agli avversari solo le briciole: primo posto di Daniele Masala e terzo di Carlo Massullo nell'individuale; vittoria schiacciante nella prova a squadre, con Masala, Massullo e Pierpaolo Cristofori.

Puntuale il contributo al medagliere azzurro da parte dei tiratori: oro (il secondo consecutivo) da Luciano Giovannetti nella fossa olimpica, argento da Edith Guffler nella carabina ad aria compressa, bronzo da Luca Scribani Rossi nello skeet. Una piacevole sorpresa fu il titolo olimpico vinto dall'alto atesino Norbert Oberburger nel sollevamento pesi, categoria massimi pesanti.

Il ciclismo, ex settore forte del nostro sport, caduto in crisi già dalle Olimpiadi di Monaco, diede un segnale di ripresa con la medaglia d'oro del quartetto della 100 km a squadre, formato da Marcello Bartalini, Marco Giovannetti, Eros Poli e Claudio Vandelli.

Soddisfazioni da lotta e judo

Nella lotta greco-romana Vincenzo Maenza vinse la medaglia d'oro nella categoria dei minimosca sconfiggendo in finale il tedesco Markus Scherer. Il nome di Maenza sarebbe diventato nel tempo garanzia di medaglia per lo sport olimpico italiano: ancora oro a Seul nel 1988, argento a Barcellona nel 1992. Il judoka Ezio Gamba, oro a Mosca nella categoria fino a 71 kg, dovette retrocedere di un gradino: secondo posto dietro il coreano Ahn Byeong-Keun.

Los Angeles 1984
Giochi della XXIII Olimpiade

los angeles 1984 Per avere una panoramica completa delle immagini della XXIII olimpiade vai alla pagina ufficiale del CIO.

Foto

Video
La statunitense Evelyn Ashford durante una frazione della staffetta 4x100 femminile.

Los Angeles 1984
Giochi della XXIII Olimpiade

A Los Angeles il programma dell'atletica femminile si arricchì di tre nuove gare: 400 m ostacoli, 3000 m piani e maratona. Inoltre vennero aggiunte due prove al pentathlon, che si trasformò così in eptathlon.

Fra le nazioni presenti ci fu la Cina, a rappresentare oltre un miliardo di uomini; nella pistola libera Xu Haifeng vinse la prima medaglia d'oro per il paese di cui alcuni già annunciavano il prossimo incipiente predominio nello sport.

A seguito del drammatico arrivo della maratona femminile e del valorosissimo gesto sportivo della svizzera Gabriela Andersen Schiess il presidente Ronald Reagan in persona, che aveva inaugurato i Giochi, la volle alla Casa Bianca per complimentarsi del suo coraggio e premiarla con una speciale medaglia d'oro.