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Le donne e la lotta armata
Testimonianze di donne della Resistenza

In questa sezione del laboratorio puoi ascoltare la testimonianza di Rosa Cantoni, entrata nella Resistenza con il nome di battaglia “Giulia”, che operò come organizzatrice dei Gruppi di Difesa della Donna e come staffetta per la federazione comunista di Udine fino al dicembre 1944, quando fu arrestata e deportata nel campo di concentramento di Ravensbrüch1 in Germania.
Potrai inoltre leggere alcune interviste a partigiane friulane raccolte nella

  tesi “Partigiane in Friuli: storia e memoria” di Eleonora Buzziolo, laureata in scienze politiche all’Università di Trieste e vincitrice del premio “Diana Sabbi” 2006, istituito dalla provincia di Bologna.
1 campo di concentramento di Ravensbrüch: il campo di concentramento di Ravensbrüch, situato a 90 km. da Berlino, fu il lager femminile principale della Germania dal 1939 fino alla definitiva caduta del regime nazista nel maggio del 1945. Si stima che delle 110.000 donne internate, 92.000 furono le vittime.
› Testimonianze di donne della Resistenza.pdf
Testimonianze di Paola Del Din, partigiana combattente della Divisione Osoppo con il nome di battaglia “Renata Barone”, e Lida Lepre, partigiana combattente della Brigata Garibaldi con il nome di battaglia “Lida”.› Le donne e la lotta armata.pdf
Paola Del Din Il primo problema era quello di andare in giro a raccogliere armi. […] I giovani che scappavano dalle caserme non potevano portarsi dietro le armi di ordinanza, anzi era meglio che se ne disfacessero, che cercassero abiti borghesi, un mezzo di trasporto per allontanarsi dalla caserma e mezzi di fortuna per raggiungere le loro case senza essere catturati dai Tedeschi. Nella seconda metà del mese di settembre 1943 provvidi personalmente al recupero di piccole quantità di armi e materiale militare depositato presso famiglie di contadini nella zona tra Udine e Qualso, su indicazioni e disposizioni datemi da mio fratello e dai suoi colleghi di battaglione . Fidandomi del fatto che assomigliavo di viso a Renato e che ero abituata ad andare in giro in bicicletta anche per lunghi tratti ed a portare pesi sul manubrio, perché andavo sempre al mulino a far macinare il granoturco che ci veniva da un terreno di mio padre, potevo andare nel posto designato e ritirare le armi. Nascosi le armi (alcune rivoltelle Beretta calibro 9 con relative munizioni, una decina di bombe a mano ed altro materiale) a casa mia; più tardi le portai in parte a Savorgnano al Torre, perchè fossero consegnate a mio fratello, che si trovava allora in quella zona e in parte ai punti di raccolta in città.
Lida Lepre Io andavo in giro armata in rare occasioni perché girare armati in paese era pericoloso. Portavo la mia pistola solo quando andavo a fare degli incontri clandestini con gente che arrivava da altri comandi e che magari io non conoscevo. In quei casi era sempre meglio avere una pistola a portata di mano e non sapevi mai cosa poteva succedere. Si portavano le armi anche quando venivano dei rastrellamenti ed eri obbligato ad andare in montagna, perché anche se sapevi che fino lassù i Tedeschi non sarebbero mai arrivati, poteva capitare la necessità di difendersi in un conflitto a fuoco. Nella polveriera di Rivoli Bianchi erano tutti compagni, ci si andava a prendere la dinamite, che mi ricordo ancora essere gialla, poi la si metteva dentro nei tubi e poi si minavano tutti i ponti. Tutti i ponti qua nella zona erano minati e pronti per farli saltare. Abbiamo fatto saltare così il ponte di ferro di Comeglians, e quando siamo tornati a casa dopo l’azione alla caserma di Sappada, siccome eravamo in pochi e dovevamo coprirci la fuga, abbiamo fatto saltare anche il ponte tra Sappada e Forni Avoltri.

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