Il deficit pubblico si verifica quando la spesa dell’amministrazione statale (in beni, servizi e trasferimenti come stipendi e pensioni) non è coperta dalle entrate derivanti dalle imposte dirette e indirette versate dai cittadini e dalle imprese. In sostanza, quando lo Stato spende più di quanto incassa.

Mettendo in relazione il deficit con il PIL, si può valutare la capacità di uno Stato di compensare, con la ricchezza che produce, il deficit e confrontare la sua stabilità finanziaria con quella di altri Paesi

Secondo i cosiddetti “parametri di Maastricht”, i Paesi che fanno parte dell'Unione economica e monetaria dell'Unione Europea, tra cui l’Italia, devono contenere il disavanzo pubblico annuale entro il 3% del PIL.

Il debito pubblico è il debito complessivo contratto dallo Stato verso altri soggetti, pubblici e privati (in sostanza, chi ha acquistato titoli di Stato, dai piccoli risparmiatori alle grandi istituzioni finanziarie), per sostenere le spese statali non coperte dalle entrate. In altre parole, la somma dei disavanzi accumulati nel corso degli anni.

Mettendo in relazione il debito con il PIL, si può valutare la capacità di uno Stato di far fronte al pagamento del debito e conoscere la condizione delle finanze pubbliche.

Nei Paesi che fanno parte dell'Unione economica e monetaria dell'Unione Europea, il rapporto tra debito e PIL non deve superare il 60%. Nell’UE, però, la metà dei Paesi non rispetta questo parametro (vedi questa pagina del sito dell' Eurostat ). In questo grafico è illustrata la situazione debitoria nel 2014. Per esempio, l'Italia nel 2014 aveva un debito pubblico pari al 132,3% del PIL (circa 2.136 miliardi di euro, cioè circa 33.500 euro pro capite).

Nel 2012 i Paesi dell’UE (tranne Regno Unito e Rep. Ceca, oltre alla Croazia che allora non faceva parte dell’UE) hanno firmato un trattato detto Fiscal Compact (cioè “patto fiscale”) che ha reso più rigidi i parametri sui rapporti deficit/PIL e debito/PIL.

Il trattato prevede l’obbligo di ridurre il debito pubblico del 5% all’anno, fino a raggiungere il rapporto del 60% sul PIL. Per l’Italia, ciò significa ridurre il debito pubblico di circa 45 miliardi di euro ogni anno per i prossimi vent’anni. In caso di violazione, la Corte di giustizia UE potrà imporre un’ammenda fino allo 0,1% del PIL (per l’Italia circa 2,1 miliardi di euro).

Per misurare il costo della vita, e in particolare le sue variazioni nel tempo, si usa l’indice dei prezzi al consumo (IPC).

L’IPC su basa sul prezzo di un insieme di beni e servizi, definito paniere, rappresentativo degli effettivi consumi delle famiglie in uno specifico anno. A differenza del PIL, misura solo i prezzi dei beni di consumo.

Rilevando i prezzi dei prodotti contenuti nel paniere e confrontandoli con i prezzi della rilevazione precedente si ha una misura dell’inflazione, ovvero della variazione percentuale dei prezzi.

L’IPC serve come parametro di riferimento per impostare le politiche economiche, per esempio per stabilire quanto devono aumentare i redditi per mantenere inalterato il tenore di vita dei cittadini.

Il paniere di riferimento utilizzato in Italia nel 2014 dall'ISTAT si compone di 1447 prodotti, il cui prezzo viene rilevato mensilmente. L’elenco dei prodotti viene rivisto ogni anno dall’ISTAT per tener conto delle novità emerse nelle abitudini di spesa delle famiglie.

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