L’Indice di Sviluppo Umano ha senza dubbio dei limiti, riconosciuti dai suoi stessi ideatori. Le critiche più frequenti affermano che il concetto di sviluppo umano è molto più ampio rispetto a quanto sia in grado di misurare l’ISU, il quale trascura argomenti fondamentali quali i diritti umani e la libertà.

Per colmare in parte queste lacune, l’UNDP ha introdotto a partire dal 2010 tre nuovi indici:

  • L'Indice di Sviluppo Umano corretto per la disuguaglianza
  • L'Indice di disuguaglianza di genere
  • L'Indice multidimensionale di povertà

Questo indice ritocca i risultati dell’ISU in modo da tener conto delle disparità di reddito, salute e istruzione interne ai singoli Paesi.

Rispetto all’ISU, alcuni Stati come la Germania avanzano in classifica, mentre gli Stati Uniti retrocedono di parecchie posizioni. Anche l’Italia perde una posizione.

Movimenti simili si verificano pure nella parte bassa della classifica (tabelle 1 e 2): il Viet Nam, per esempio, è al 121° posto dell’ISU ma nell’ISU corretto per la disuguaglianza avanza di 15 posti.

Questo indice permette di valutare l’impatto negativo sullo sviluppo umano delle disparità sociali ed economiche esistenti tra uomini e donne.

Per misurare l’indice di disuguaglianza di genere si considerano i seguenti indicatori:

  • il tasso di mortalità materna, cioè il numero di donne morte di parto o durante la gravidanza ogni 100 000 nati vivi;
  • il tasso di fertilità adolescenziale, cioè il numero di nascite da donne tra 15 e 19 anni ogni 1000 donne della stessa età;
  • la percentuale di seggi parlamentari occupati da donne;
  • la percentuale della popolazione adulta (più di 25 anni), divisa per generi, che ha conseguito un livello di istruzione secondaria;
  • il tasso di partecipazione al mercato del lavoro per ciascun genere, espresso in percentuale.

L’aggiustamento in funzione delle disparità tra i sessi produce risultati sorprendenti: per esempio, gli Stati Uniti scivolano al 47° posto e il Qatar passa dal 31° al 113° posto; al contrario, l’Italia guadagna l’8° posto.

Movimenti simili si verificano anche nella parte bassa della classifica, con Cina, Viet Nam e Ruanda che avanzano di oltre 50 posizioni.

Messo a punto in collaborazione con l’Oxford Poverty & Human Development Initiative (OPHI), questo indice integra le misurazioni della povertà basate sul reddito e indica il numero di persone che sono povere non solo perché hanno un reddito basso, ma anche perché non possono accedere a servizi e beni di base.

L’Indice multidimensionale di povertà riguarda attualmente 101 Paesi in via di sviluppo e circa 5,2 miliardi di persone.

L’indice valuta le privazioni multiple delle famiglie per quanto riguarda salute, istruzione e tenore di vita (cioè le tre dimensioni analizzate dall’ISU). Utilizza 10 indicatori, come l’accesso all’elettricità e all’acqua potabile, la mortalità infantile, gli anni di istruzione, il livello di nutrizione ecc.: si definisce “povero” un individuo che non può accedere a più di tre di questi indicatori.

In base a questo indice circa 1,6 miliardi di persone sulla Terra vivono in una “povertà multidimensionale”; di queste, il 54% risiede in Asia meridionale e il 31% nell’Africa subsahariana.

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