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Torna indietro... LA RACCHETTA E IL VOLANO

Il diritto di giocare dei bambini è, al giorno d’oggi, un’idea condivisa, tanto da essere stato inserito nella Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia (1989, articolo 31).
Fino alla metà del Seicento, tuttavia, pochi ritenevano il gioco un’attività necessaria durante l’infanzia: i giocattoli, in particolare, erano considerati un inutile lusso.
Anche se per il XVII secolo è raramente documentata una produzione specializzata di oggetti per i bambini, sappiamo che questi ultimi - fin dall’antichità - avevano a disposizione numerose opportunità di gioco, magari organizzate con materiali di fortuna: saltare alla corda, lanciare aquiloni, dondolarsi sull’altalena, far correre il cerchio o baloccarsi con le bambole. La svolta avvenne durante la seconda metà del Settecento, quando gli adulti iniziarono a prestare maggiore attenzione al mondo infantile: si cominciò a raccomandare l’esercizio fisico per una crescita armoniosa del corpo e ad apprezzare non solo il gioco ma anche la gioia che questo provocava nei piccoli.
Fra i giochi di destrezza era di gran moda quello del volano (jeu de volant in Francia, battledore and shuttlecock in Inghilterra), il diretto antenato del badminton, effettuato con racchette e una mezza sfera di sughero munita di penne. Questo gioco, a differenza di quelli con la palla, fu tollerato come innocente passatempo per damigelle fin dai suoi esordi nelle corti del Rinascimento, forse perché la pallina piumata poteva essere lanciata in interno e non solo in giardino. Nel Settecento fu accettato dalle istitutrici delle fanciulle per gli stessi motivi: praticarlo, al pari della moscacieca e del nascondino, faceva parte della dimensione sociale della nobiltà.

Adriaen van de Venne, Due dame che giocano al volano (1626 ca), British Museum, Londra


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