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Torna indietro... LA MUSICA E LA DANZA

Pietro Longhi, La lezione di musica (1760 ca.) Walters Art Museum, Baltimore
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Pietro Longhi, La lezione di danza (1742), Gallerie dell'Accademia, Venezia



«I suoni, i canti e le lettere che sanno le femmine sono le chiavi che aprono le porte della pudicizia loro» scriveva Pietro Aretino nel suo Primo libro de le lettere (1538). Le parole del letterato toscano provano la diffidenza di un tempo verso le donne colte: ogni sapere, al di fuori di quelli tipicamente "donneschi" era, infatti, considerato un potenziale strumento per fuorviare le fanciulle dalla retta via. L’arte musicale, al pari della lettura per svago, era solo tollerata.
È vero che nell’ambiente di corte o in quello altoborghese nel Seicento troviamo donne considerate "virtuose" (non a caso si utilizzava un termine destinato a fugare ogni dubbio sulla moralità di chi applicava alle discipline musicali!): Elisabetta I d’Inghilterra, Anna d’Austria e di Francia, mentre alla corte Medicea si fa notare Francesca Caccini, figlia di quel Giulio che, membro della camerata de’ Bardi, gettò le basi del melodramma italiano.
Ma non soltanto nelle corti le donne potevano dedicarsi allo studio e alla pratica della musica: anche il convento si dimostrò un luogo dove, nonostante i limiti imposti dell’autorità ecclesiastica, alle ragazze fu possibile imparare la tecnica del canto e l’uso di strumenti musicali. Non a caso la maggior parte delle compositrici del XVII secolo proviene da ambienti monastici.
Se ai maschi era naturalmente permesso apprendere e insegnare la teoria e la praxis musicale, era assai raro che una donna potesse imparare a suonare o praticare il canto a un livello più che dilettantistico. Anche se i maestri insegnavano a suonare uno strumento a tutti i ragazzi di una stessa famiglia indipendentemente dal loro sesso, le figlie erano di norma destinate a dimenticare ciò che avevano imparato non potendo esercitare il mestiere di musicista per timore di mettere a repentaglio la propria reputazione.

La danza invece, purché praticata in contesti e occasioni sociali ben definite - come nei balli di società, uno dei passatempi preferiti da nobili e borghesi - era addirittura consigliata alle ragazze. La ragione dell’inserimento di questa particolare materia di studio nella limitata istruzione prevista allora per le donne veniva spiegata con il beneficio "estetico" che apportava al corpo femminile: i movimenti codificati del ballo, praticati con costanza, contribuivano ad assottigliare le membra delle ragazze grassottelle e a rendere più aggraziate le movenze e il portamento di ogni dama. La danza, fin dal Seicento, era insegnata negli educandati femminili fra le cosiddette arts d’agrément, le "materie d’ornamento" per eccellenza, tipicamente elitarie e perciò segno distintivo dell’educazione nobiliare.

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