Dalle ricerche dello storico francese Michel Pastoureau sappiamo che il blu è, ai nostri giorni, il colore preferito dalla maggior parte delle persone, eppure la storia ci insegna che non è sempre stato così: presso gli antichi Greci e Romani, per esempio, il blu aveva una connotazione negativa per essere associato ai "barbari", ai loro costumi (si tingevano il volto di blu in battaglia) e al loro mondo selvaggio.
La lenta ma progressiva inversione di tendenza che ha interessato l'uso quotidiano, il valore simbolico, il ruolo economico, artistico e letterario di questo colore è iniziata a partire dall’Alto Medioevo. Il cielo azzurro intenso dei mosaici romanico-bizantini di Ravenna è, infatti, assimilabile allo sfondo d’oro che circonda il Cristo nel Regno dei Cieli o la figura dell’Imperatore attorniato dalla sua corte: ambedue rimandano all’incontaminata purezza del Paradiso e del divino. Anche la Vergine, a partire dal Medioevo, venne raffigurata avvolta da un manto blu oltremare, preziosissimo pigmento ottenuto dalla macinatura del lapislazzulo.
Ma fu da quando i re di Francia elessero il blu come sfondo per il loro stemma con il fleur de lys (il giglio) che questo colore divenne un anche simbolo distintivo - oltre che di purezza e d’elevazione spirituale - di nobiltà sociale. S’iniziò allora, infatti, a parlare di "sangue blu" per connotare la superiorità di una classe dominante che utilizzerà indifferentemente i due colori regali, oro e blu, per identificare il proprio status.
Si comprende quindi come, dall’uso sociale proprio dell’aristocrazia, il blu sia diventato col tempo un colore di moda, utilizzato nell’abbigliamento anche comune, per infondere e suscitare quel "tocco di classe" e di eleganza da sempre riconosciuto come appannaggio della parte più elevata della società.
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 Jean-Etienne Liotard, La figlia del pittore (1765 ca), collezione privata
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