Fino alla fine del Settecento, quando la società più colta - stimolata dalle idee innovative di Jean Jacques Rousseau - iniziò a porsi il problema dell’abbigliamento infantile, i vestiti dei bambini non differivano da quelli degli adulti. Fra i tre e i cinque anni maschi e femmine abbandonavano la veste dei piccoli (una tunica lunga unisex fino ai piedi e corredata dalle dande, strisce di stoffa pendenti dalle spalle pensate per sorreggerli quando imparavano a camminare), per indossare abiti adeguati al loro stato sociale. Mentre i maschietti abbandonavano definitivamente la sottana per indossare le "braghe", gli abiti delle bambine riproducevano in ogni particolare quelli delle loro mamme. Ovviamente questo tipo di vestiario che costringeva il busto ancora esile e comprimeva i polmoni non contribuiva - come invece si credeva - a uno sviluppo armonioso dello scheletro ma imponeva piuttosto il controllo del proprio corpo. Considerate adulte in miniatura, le fanciulle erano educate a "comportarsi bene" anche attraverso le fogge rigide degli abiti e delle acconciature che impedivano il naturale istinto a muoversi e condizionavano al rispetto delle norme di comportamento dettate per il sesso femminile, vòlte a proteggere l’onore delle ragazze e il decoro della casata. Madri e governanti le osservavano continuamente, vigilando sulla "compostezza" dei loro gesti e correggendole ogni volta che non si conformavano alle regole stabilite dal cerimoniale per le posizioni della testa, del busto, delle braccia o dei piedi…
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 Pierre-Louis Dumesnil, Domestica che veste i bambini (1730), Musée Carnavalet, Parigi (Clicca sull'immagine per ingrandire un dettaglio)
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