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le fonti della narrazione storica dell antico egitto
Le fonti letterarie
  Oltre ai numerosi reperti archeologici e agli edifici che si sono conservati, abbiamo alcune fonti storiografiche molto importanti. Un punto di riferimento fondamentale per questo periodo resta sempre la monumentale raccolta di atti, documenti e cronache che va sotto il nome di Monumenta Germaniae Historica, ma possediamo anche le opere complete di storici e cronisti vissuti nel X secolo.
Uno di questi è Liutprando da Cremona (920-972): fu ambasciatore a Costantinopoli e, dopo essersi scontrato con il re d’Italia Beregario II, si rifugiò in Germania alla corte di Ottone I. Tornato in Italia al seguito dell'imperatore, nel 961 fu creato vescovo di Cremona. Ci ha lasciato tre opere fondamentali per la storia italica del periodo:
Nel Libro dei re e dei principi d'Europa, in 6 libri (noto anche con il titolo di Antapodosis, cioè "rappresaglia"), Liutprando, più che fare storia, si lancia in una violenta requisitoria contro quei regnanti che, a suo dire, non erano degni del trono Con il Libro sulle imprese di Ottone I esalta la figura e le opere dell’imperatore allora regnante.
Interessante è la Relazione sulla legazione costantinopolitana, scritta dopo la sua esperienza di ambasciatore a Bisanzio: si tratta, infatti, di una rappresentazione mordace e pittoresca della corte bizantina.
Un altro importante storico è Widukindo di Corvey che nella sua opera dal titolo Rerum gestarum saxonicarum libri tres descrive con efficacia e grande documentazione le origini dei popoli sassoni e le storia di Avari e Ungari.
Una personalità iinteressante è senz’altro quella di Rodolfo il Glabro (985-1047). Fu un monaco cluniacense e le sue Cronache dell'anno mille, in cinque libri, raccontano la storia d'Europa dal 900 fino ai suoi tempi. La sua opera è inquinata fortemente dall’idea che sta alla base del racconto storico e cioè ricercare sempre e soltanto la mano di Dio nella storia dell’uomo. La sua convinzione è che l’uomo è irrimediabilmente peccatore e quindi nessun intervento divino o eventi meravigliosi e stupefacenti possono modificare la malvagità umana.
È rimasto celebre, per la vivezza e realismo delle descrizioni, il brano che racconta l’evolversi della carestia in Borgogna del 1033.
  Le fonti sulla storia dei Vichinghi
  Lo studio delle popolazioni vichinghe rappresenta un caso esemplare del metodo utilizzato dagli storici per tentare di ricostruire i numerosi aspetti di una civiltà: in questo caso, infatti, i ricercatori dispongono di diverse fonti, talvolta contraddittorie, e devono confrontarle accuratamente per stabilire la veridicità delle informazioni.
Le imprese dei Vichinghi furono riferite da cronisti dell’epoca: si trattava soprattutto di resoconti di guerre e di saccheggi, che contribuirono ad alimentare il mito di un popolo violento e sanguinario. Queste narrazioni, quindi, presentano un aspetto parziale della storia, per lo più influenzato dal terrore degli sconfitti, e contengono scarse indicazioni riguardanti la vita quotidiana dei Vichinghi. Per colmare tale lacuna, si può ricorrere agli scavi archeologici, dai quali si ricavano numerose informazioni; questo anche grazie alla particolare umidità del suolo dei Paesi nordici, che ha permesso la conservazione di materiali normalmente deperibili, quali il legno, il cuoio e i tessuti.
I dati provenienti dalla ricerca archeologica costituiscono, inoltre, un importante termine di confronto per quei documenti storici che rappresentano il mondo vichingo in forma figurativa. Per esempio, l’arazzo di Bayeux è considerato un’eccezionale fonte di informazioni storiche; questo telo di lino, lungo circa settanta metri e alto cinquanta centimetri, ricamato con lane colorate, fu commissionato dal vescovo di Bayeux nel XI secolo per ricordare la conquista dell’Inghilterra da parte dei Normanni.
L’arazzo fornisce informazioni su come si svolgevano i banchetti: vi sono infatti scene in cui ai commensali, seduti a semicerchio intorno a un tavolo, viene servita carne bollita e arrostita sotto forma di spiedini; le bevande sono versate in corni. Sappiamo inoltre che la dieta dei Vichinghi comprendeva zuppe d’orzo, pesce, legumi, frutta e miele; le bevande più diffuse erano la birra, l’idromele (ottenuto da acqua e miele), il vino e il bjorr (una sorta di sidro, derivato dalla frutta molto fermentata).
L’utilizzo da parte degli studiosi di questa molteplicità di fonti ha permesso di modificare l’immagine esclusivamente guerriera dei Vichinghi, per far luce anche sulle loro straordinarie abilità tecniche e sulla loro vita in tempo di pace.
  La cultura e la scrittura dei Vichinghi
  Le grandi imprese marinaresche e le epiche conquiste dei guerrieri più valorosi co­­sti­­tuivano l’oggetto di numerosi poemi che i Vichinghi si tramandavano di generazione in generazione, per lo più in forma orale. Per molto tempo, infatti, presso questi popoli la scrittura fu considerata un’attività magica, riservata a pochi iniziati, che conoscevano i segreti insiti nelle rune, i caratteri del loro alfabeto.
Le rune (dal germanico run che significa "mistero") sono l’unica forma di scrittura sviluppata dai Vichinghi: l’origine di questo alfabeto è sconosciuta, ma la forma di alcune lettere fa pensare a un’influenza greca e celtica. I Vichinghi usavano le rune per incidere pietre commemorative in cui erano narrate imprese eroiche, ma anche per propiziare gli spiriti. Con il passare dei secoli, le rune furono usate anche per scopi pratici: nel corso di scavi archeologici sono state rinvenute etichette di legno con iscrizioni che dovevano essere affisse a merci conservate nei magazzini.

La nave vichinga
La "Chiesa imperiale"
La leggenda dell’anno Mille
L’anno Mille
   
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